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LA NOSTRA PROPOSTA: AUTONOMIA DEMOCRATICA

quadrata Molto si è parlato di un’emergenza educativa in Italia. Se c’è un’emergenza educativa, la causa non può essere che negli educatori. Quali sono gli educatori? la famiglia e la scuola.
Per affrontare l’emergenza educativa occorre ridare forza educativa alla famiglia e alla scuola.
La capacità educativa della famiglia si è indebolita per molti motivi ma principalmente perché è stata emarginata da una scuola sempre più invadente nella vita dei loro figli.
Il sistema scolastico si è sviluppato in modo squilibrato. Si è via via sempre più atrofizzato il sistema delle scuole nate per iniziativa della società civile mentre si è sviluppato enormemente la scuola gestita dallo stato che per definizione non può essere una scuola educativa, può essere solo una scuola ideologica, permeata dall’ideologia prevalente in quel momento a livello politico o sociale. Se si volesse individuare l’ideologia dominante oggi nella scuola statale potremmo dire che è l’ideologia dell’autoeducazione: lo studente si educa da sé.
D’altra parte per affrontare l’emergenza educativa occorre una scuola che educhi.
Sembra un’affermazione banale, ma molte scuole, soprattutto quelle statali, non hanno un’impostazione pedagogica chiara né un progetto didattico coerente. La burocrazia statale, che attualmente governa la scuola, non ha obiettivi educativi, tiene in piedi un’istituzione aperta a tutte le strumentalizzazioni sindacali, partitiche, clientelari e ideologiche.
Per recuperare il suo compito educativo ciascuna scuola deve essere innanzitutto autonoma, cioè deve poter determinare tutto ciò che occorre per svolgere il proprio compito:

Una scuola deve poter scegliere:

  • un’impostazione pedagogica chiara
  • un progetto didattico coerente
  • personale direttivo che promuova, coordini e controlli il lavoro degli insegnanti
  • personale insegnante che svolga il suo lavoro coerentemente all’impostazione pedagogica e al progetto didattico della scuola
  • locali adeguati (aule, laboratori, palestre ecc.), arredi e sussidi didattici adeguati

A questo punto, sorge una questione fondamentale: una scuola autonoma, a chi risponde del proprio operato?
Per noi, la scuola deve rispondere alle famiglie degli studenti, dato che non a caso la Costituzione Italiana attribuisce ai genitori il diritto e il dovere di istruire ed educare i figli.
Per quale motivo? Per essere una scuola che non espropria i genitori del loro compito.
Se i genitori non assolvono il loro compito educativo la famiglia perde man mano la propria capacità di educare, come è successo negli ultimi cento anni.

In pratica, come funzionerebbe?

La nostra proposta è che a governare ciascuna scuola sia un consiglio d’amministrazione eletto dai genitori. I candidati (che non devono essere dipendenti della scuola o avere figli che la frequentano) possono presentare i loro progetti alla famiglie, che così possono votare chi propone il progetto che ritengono migliore per i propri figli. Questo stesso fatto susciterebbe un dibattito sui problemi educativi veri di quella comunità e farebbe emergere le soluzioni più adeguate, così come succede per le elezioni comunali, regionali e nazionali.

Il consiglio d’amministrazione sceglie il preside che, nomina gli insegnanti e sovrintende all’attività didattica e il direttore amministrativo, che si occupa di gestire l’edificio scolastico, gli arredi e tutto quello che serve per far funzionare l’istituto.
La scuola riceve dallo Stato (cioè dalle tasse pagate da tutti i cittadini) una quota per ogni alunno iscritto, eventualmente corretta per scuole che siano in situazioni particolari.
Con questa quota la scuola provvede a far fronte a tutte le spese necessarie per il suo funzionamento.

Sei d’accordo? Vorresti discuterne? Scrivici!

10 commenti

  1. Avatar

    La proposta è interessante e coraggiosa! Avrebbe il vantaggio, se realizzata, di ridare fiato e credibilità alla partecipazione dei genitori, in questo ultimo quarantennio molto frustrata dall\’esperienza degli organi collegiali. Per esperienza personale, ricordo che come presidente del Consiglio di Circolo della scuola elementare di una mia figlia, abbiamo impiegato 6 mesi a far aggiustare le maniglie dei servizi e quasi 2 anni ad ottenere un custode, per il labirinto burocratico in cui la scuola è sprofondata e per le diverse competenze in cui è suddivisa, fra Provincia, Stato e altri Enti.
    Sarebbe molto utile dare voce a quei genitori che sono impegnati ancora oggi negli organi collegiali: sono i genitori più sensibili a questi problemi e forse quindi anche alla proposta..
    G.Banzatti

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      Anche io sono stato reppresentante genitori per un comprensivo.
      La mia esperienza è simile, ma la interpreto in maniera diversa. Fino a quando la dirigenza può utilizzare i genitori per sbrigare alcune difficoltà burocratiche, è ben felice di avere dei volontari a cui affidare qualche limitato compito. Ma quando si tratta di affrontare temi sostanziale, e discutere un comportamento contrario all’impostazione di fondo della dirigenza, la cosa cambia.
      Nella scuola elementare in cui ero rappresentante, che serviva un quartiere con forte immigrazione, una questione era che la distinzione tempo pieno/tempo a moduli, era diventata quella tra classi per stranieri/classi per italiani. La richiesta di contrastare ciò – che avrebbe messo in gioco ben altro che la lentezza burocratica per riparare un vetro – si è scontrata contro un muro di gomma, se non peggio. Le questioni sono complicate, e le soluzioni devono prendere in considerazione tutti gli aspetti della realtà.

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    Una ulteriore osservazione. Scrivete “Una scuola [pubblica, statale] deve poter scegliere un’impostazione pedagogica chiara”. Il principio sembra un truismo, ma lo è veramente?

    Quale il presupposto della possibilità che sia riconosciuto un diritto di scelta? Che vi siano più opzioni legittime, e che il soggetto debba essere rispettato in qualunque delle opzioni appunto sceglie. (in altro ambiti, si pensi alla libertà religiosa, e il rispetto dovuto al credente, qualunque sia il culto che sceglie di seguire)

    Ma questo presupposto è valido nel caso in questione? Oggetto della scelta sarebbero le impostazioni pedagogiche. Ma chi è il Soggetto? Ovviamente, non la Scuola di sua proprio diritto, ma la famiglia dello studente. Diciamo quindi che si riconosce alle famiglie il diritto – anche nell’ambito delle scuole pubbliche statali – di scegliere una tra più possibili impostazioni pedagogiche. Ma come rispettare istituzionalmente ciò?

    Nella mia città esiste un solo Liceo Classico. Ammettiamo che vi siano più impostazioni pedagogiche legittime, e che il Liceo ne adotti una, scartando le altre. Ovviamente questo non andrebbe bene per tutte le famiglie che avrebbero preferito le altre impostazioni pedagogiche.

    Non vale qui nemmeno la previsione che quella impostazione sarebbe stata scelta dalla maggioranza delle famiglie (che sceglie i dirigenti, che scelgono i docenti) perchè non sarebbero tutelati comunque le famiglie di altra opinione.

    (n.b. non si tutela la libertà religiosa, se a maggioranza si sceglie quale sia il culto che la Chiesa ‘pubblica’ adotta)

    Ovviamente, si potrebbe pensare che lo Stato debba istituire – in ogni specifico distretto territoriale – tanti Licei quanti sono le opzioni pedagogiche che ricevano un qualche adesione, ma questo la vedo difficile in gran parte del territorio nazionale. (in effetti, l’idea delle SSA mi sembra sia pensata immaginando istituzioni che agiscono – anche nel proprio territorio di riferimento – in alternativa con altre di possibile diversa impostazione, me questo nasconce il presupposto irrealistico che nella mia città di possano essere 4/5 Licei Classici)

    Quale è il presupposto nascosto non preso adeguatamente in conto nella proposta della SSA? Mi è capitato di visitare un campus americano che comprendeva anche una chiesa (edificio religioso). Quella chiesa però non aveva nessun specifico arredo religioso legato a questa o quel culto, perchè, credo a rotazione, serviva le riunioni di gruppi religiosi diversi. In qualche modo le Scuole Statali devono essere un po come quella Chiesa, essere ospitali a tutte le impostazioni pedagogiche possibili, non sceglierne una. Come? uhm, uhm, diciamo alla prossima 🙂 , ma spero di aver individuato una possibile seria obiezione.

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      La scuola è un luogo di apprendimento, di scambio di idee e soprattutto di formazione; tutto questo dovrebbe servire a favorire la crescita culturale, intellettiva e caratteriale degli studenti, col fine ultimo di riuscire a creare delle persone mature e morali, capaci altresì di migliorarsi e di confrontandosi lealmente tra loro. Se é vero ciò, é altrettanto vero che ogni individuo é dotato di una propria personalità e di proprie capacità, che lo rendono, fortunatamente, diverso dagli altri ed é proprio questo che rende a sua volta la società varia e multiforme, più ricca e interessante. Premesso ciò, non c’è alcun motivo per spingere forzosamente, semmai contro la loro stessa volontà, gli alunni ad entrare in continua competizione tra loro. Piuttosto sarebbe più opportuno, seguendo i principi pedagogici più elementari, spingere ogni allievo a “dare tutto”, senza reprimere le singole individualità, stimolandolo con dolcezza e mai con rancore o astio, anche all’autocritica, partendo col correggere via via i propri errori. A questo dovrebbe cercare di tendere una vera scuola, soprattutto d’ispirazione cattolica, e mai accontentarsi di essere semplicemente un gigantesco impianto industriale. Ormai sono decisamente superati quei sistemi scolastici ottocenteschi, basati su una pedagogia e una metodologia repressiva e selettiva, miranti a dividere i discenti in remissivi e sediziosi, buoni e cattivi. Perché in questo caso il prodotto finito sarebbero cittadini amorfi, malleabili, incapaci di critica e di autoaffermazione, pronti a diventare maneggevoli e volenterosi sudditi senza personalità. Il metodo con cui si arriva a questa selezione é proprio quello delle graduatorie di merito, in base al quale gli alunni sono divisi in categorie: i migliori, i peggiori e i non recuperabili e allora occorre fare di tutto per affrancarsi dal marchio imposto; rinnegare i propri principi, annientare la propria personalità, trasformarsi in individui piatti e accondiscendenti, pur di ricevere l’approvazione di chi é costantemente pronto a valutarti e giudicarti. E’ così che nasce quel flagello scolastico che è la competizione. I compagni di scuola non sono più dei compagni, ma della gente da battere nella corsa verso il successo; un gioco stupido e disumanizzante che durerà per tutta la vita, annullando le singole, preziose individualità personali, facendo diventare il giovane un miserevole scalatore sociale. Un gioco che sostituirà l’arrivismo al rapporto affettivo, la rivalità alla collaborazione, l’egoismo alla generosità.

      http://www.superando.it/2013/04/26/tutti-avrebbero-dei-vantaggi/

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    Sono favorevole ad una autonomia dei presidi, ma assolutamente no a questa quartierizzazione delle scuole, prego analizzare il (fallimentare) modello inglese, dove solo chi ha i soldoni o vive nel quartiere giusto accede alla scuola desiderata. La scuola é e deve rimanere PUBBLICA, e i Presidi formati come ora e selezionati dall’esamone che ne discrimina la motivazione e capacità. Occhio alle scuole fai da te, guardate che insegnare é un mestiere!

    • Redazione

      Cara Marta la scuola deve servire agli studenti che la frequentano o allo “studente” astratto e definito nelle sue caratteristiche e nei suoi bisogni dal potere politico di turno o dal gruppo di pressione di turno? Gli studenti reali vivono in un territorio (se delle elementari probabilmente in un quartiere) la scuola per essere al loro servizio deve tener conto del territorio. Quanto al modello inglese vediamo che li si stanno affermando le Academies, scuole che corrispondono abbastanza a quelle che noi proponiamo. Per quanto riguarda la pubblicità guarda che pubblico non coincide con “a gestione statale” e che la legge Berlinguer (ministro PD di un governo di sinistra) definisce come pubblico il sistema scolastico formato da scuole statali e paritarie. Per finire ti sembra che l’attuale sistema di reclutamento dei Dirigenti Scolastici sia il migliore? Moltissimi sono del parere contrario. Vedi per esempio l’articolo “ E se il preside “Mazzetta” facesse commercio delle nomine dei prof?” pubblicato il 13 marzo su “La tecnica della scuola on line”. Proprio perché insegnare è un mestiere abbiamo bisogno di insegnanti preparati e selezionati adeguatamente.

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    potrebbe essere un idea la vostra ma vorrei farvi 2 domande
    se doveste dare una scala di priorità agli obiettivi della scuola dell’obbligo, mettereste prima l’istruzione o l’educazione?
    condividete che l’educazione a cui si punta in un scuola non può essere uguale a quella che si passa in famiglia? si pensi solo agli elementi strutturali: gruppi di 20 ragazzi/e che convivono in stanze per 5/6 ore al giorno per 5/6 giorni alla settimana; quale famiglia vive questo set educativo?
    grazie e buona giornata

  5. Redazione

    Non crediamo che ci sia una priorità definita tra istruzione ed educazione. L’obiettivo della “pubblica istruzione” è appunto, l’istruzione, solo che non è possibile trasmettere metodi e contenuti a una persona, soprattutto nell’età evolutiva, senza trasmetterle valori e modelli di comportamento, consapevolmente o inconsapevolmente.
    Riguardo alla seconda domanda, un insegnante ha un ruolo diverso e un rapporto diverso con gli allievi rispetto ai loro genitori, ma non si vede per quale motivo non possa trasmettere valori e modelli di comportamento in armonia o almeno rispettosi di quelli scelti dalle famiglie degli allievi.

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    intanto grazie perché dialogare con voi è positivo
    mi piace la risposta sulle priorità . Per chiarire la seconda domanda, a cui avete comunque risposto in modo condivisibile, vorrei porre due questioni,
    1- Se il contesto è diverso rispetto alla famiglia, probabilmente a scuola si può finalizzare meglio la proposta di valori; chiaramente condivisi dalle famiglie, ma altri rispetto a quelli che nascono dal vissuto famigliare. Posso pensare a come vivo la cosa pubblica, arrivare a strutturare una pari dignità tra persone diverse anche rispetto al compito specifico dell’apprendere,la significatività dell’altro aldilà dell’appartenenza ad un etnia, la frustrazione di non essere sempre il centro dell’attenzione in gruppi di 24 persone, il confronto generazionale in un rapporto numericamente sbilanciato (ormai sempre più difficile da trovare in famiglie con uno o 2 figli) vivere il gruppo a volte centrandolo sul compito e non sulle relazioni e tanti latri su cui sarebbe bello confrontarsi
    2- sento spesso dire che i ragazzi sono mal educati dai genitori, ma a scuola, anche in forza del ragionamento fatto poco sopra, non possono educarli gli insegnati? se consideriamo come si era detto tempo e significatività delle interazioni credo che la scuola può e forse deve chiedere agli allievi il livello di educazione che lei riesce a dare, non altri
    che ne pensate?
    spero di essere stato più chiaro
    saluti

    • Redazione

      Oramai da molto tempo i genitori non sono in grado di istruire i loro figli in modo adeguato. Ciò accade perché sono privi delle conoscenze e del tempo necessari per svolgere un lavoro adeguato. Anche molti anni fa si mandava un figlio a bottega perché imparasse un mestiere. Nelle società moderne la scuola è l’istituzione deputata a svolgere il lavoro che i genitori non sono in grado di svolgere. Tuttavia la scuola non si limita mai ad istruire. Il rapporto fra un adulto e un alunno è sempre significativo, o è educativo, cioè aiuta la persona dell’alunno a crescere, o è diseducativo. Per questo i genitori, cui per natura compete la cura del figlio finché non diventa adulto ( come riconosce anche la Costituzione italiana art. 30), non dovrebbero affidare il figlio a chiunque. Non basta che l’insegnante abbia quelle conoscenze che deve trasmettere all’alunno, bisogna che abbia con lui un rapporto educativo, in dialogo con i genitori, anche se è evidente che le modalità a scuola e in famiglia saranno molto diverse. Per questo la scuola italiana deve cambiare secondo la nostra proposta, perché genitori ed insegnanti possano lavorare insieme per l’educazione dei giovani.

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