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A proposito del saggio “Liberiamo la scuola” di Andrea Ichino e Guido Tabellini

Liberiamolascuola

In questo articolo, ci focalizzeremo sul confronto tra le proposte e le argomentazioni del libro Liberiamo la scuola di Andrea Ichino e Guido Tabellini e la proposta di “Cambiamo la scuola cambiando chi la governa”

Il lavoro di Ichino e Tabellini è innanzitutto un lavoro di largo respiro, che ha elaborato una proposta adeguata alla situazione attuale della scuola: non si tratta di riformare aggiungendo o togliendo ore di insegnamento e materie di studio, si tratta di attuare una vera autonomia scolastica e di cambiare chi governa la scuola.

In questo c’è un completo accordo.

La proposta di Ichino e Tabellini prevede sostanzialmente che:

una scuola possa decidere volontariamente di diventare autonoma, cioè di disporre completamente:

  •  di tutto il personale, assunto con contratti di natura privata
  • della possibilità di licenziare o assumere tutto il personale (senza dipendere da particolari certificazioni)
  • della possibilità di fissare l’offerta formativa, i programmi , le modalità di insegnamento e  gli orari
  • della possibilità di gestire il capitale fisico e le attrezzature, compresi l’acquisto e la vendita degli edifici scolastici

La proposta prevede inoltre che comitati di genitori, gruppi di insegnanti o altri soggetti non profit possano elaborare dei “programmi di gestione” da sottoporre ad una scuola. Se la maggioranza degli aventi diritto (cioè la maggioranza dei genitori degli alunni iscritti a quella scuola) vota a favore di un “programma di gestione”, la scuola diventa autonoma e viene gestita dagli organi che il comitato che ha elaborato il “programma di gestione” ha previsto. È fissato un periodo sperimentale di 5 anni, durante il quale è possibile che la scuola ritorni ad essere gestita dallo Stato, sempre su decisione della maggioranza dei genitori degli alunni della scuola.

Dopo una fase iniziale di un anno (in cui la scuola riceve un finanziamento pari al suo costo medio nei cinque anni precedenti) viene fissata una dote per ciascun studente che frequenta la scuola. L’ammontare della dote è uguale al costo medio di un alunno in un gruppo di scuole statali simili a quella autonoma, aumentato del 10%, come riconoscimento della rinuncia a godere dei servizi dell’amministrazione centrale del MIUR.

Sulla scuola autonoma vengono diffuse una serie di informazioni, che aumentino la capacità dei genitori di valutarne la qualità.

I punti di accordo con la proposta di “Cambiamo la scuola cambiando chi la governa” sono:

  • La riformulazione dei compiti dello Stato in campo scolastico. Non più uno Stato gestore diretto del sistema scolastico ma un Stato regolatore di un sistema di scuole con larghi margini di autonomia. Infatti, se lo Stato è il gestore la scuola pubblica tende a riflettere le preferenze dei governi che l’hanno disegnata più che le esigenze reali e diversificate di una collettività in continua mutazione. Lo Stato, così come stabilito dalla Costituzione, dovrebbe fissare i livelli minimi di istruzione e un numero minimo di anni di scolarità obbligatoria. Dovrebbe finire l’era dei menù precostituiti dal Ministero, le scuole autonome potrebbero offrire agli studenti la possibilità di “menù à la carte” che consentano agli studenti margini per costruire in modo flessibile e variabile nel tempo i loro percorsi educativi nell’ambito delle opzioni diversificate offerte dalle varie scuole”.
  • Il finanziamento con la fiscalità generale delle scuole autonome. Lo stato assegna ad ogni studente una dote che viene versata alla scuola che frequenta, scegliendola liberamente.
  • Il passaggio della proprietà degli edifici scolastici e delle attrezzature dal Comune o dalla Provincia alla scuola autonoma.
  • La possibilità, per le scuole autonome, di assumere direttamente il personale anche a prescindere dalle certificazioni statali, con contrati privatistici e quella di non mantenere in servizio gli insegnanti ritenuti non adatti a contribuire alle finalità della scuola.
  • Il passaggio graduale e su base volontaria da scuola gestita dallo stato a scuola autonoma.

Vediamo ora i punti di disaccordo:

il disaccordo più grave riguarda l’impianto culturale delle due proposte, che è molto diverso. L’impianto culturale di Ichino e Tabellini è di tipo efficientistico ed economico. La loro unica preoccupazione è quella di migliorare il sistema scolastico in modo da valorizzare al massimo il “capitale umano”. Si tratta di aver una buona scuola, per avere una buona scuola occorrono dei buon insegnanti perciò occorre una scuola che abbia la possibilità di selezionare i buoni insegnanti. I buoni insegnanti sono quelli i cui studenti avranno la possibilità di guadagnare di più, di vivere in quartieri migliori ecc.., così attesta una ricerca fatta negli Stati Uniti.

Naturalmente, questi non sono obiettivi disprezzabili ma non sono sufficienti perché una scuola sia educativa della persona, che non è fatta solo per consumare di più e vivere in una bella casa.

Da questa differenza di impianto culturale discende un’altra differenza, molto importante, tra le due proposte. Nella proposta di Ichino e Tabellini non si fa menzione dei genitori, se non per l’iniziale processo che rende autonoma la scuola. Per il resto non si menzionano proprio coloro cui la Costituzione Italiana riconosce il diritto e impone il dovere di educare ed istruire i figli.  Nella nostra proposta, i genitori non solo decidono di rendere autonoma la loro scuola ma ne affidano la gestione a persone di loro fiducia, eleggendo il Consiglio di Amministrazione e rinnovando questa fiducia ad ogni elezione.

L’importanza di questa impostazione sta nello stabilire un effettivo dialogo fra l’insieme dei genitori e la scuola, dialogo il cui frutto più importante sarà quello di togliere i genitori dal loro stato di minorità e di favorirne, con l’attribuzione di una responsabilità decisiva, la maturazione come educatori. In questo modo si stimola anche la funzione delle associazioni dei genitori, chiamate a dare un contributo determinante perché i genitori possano fare scelte adeguate.

Vi sono altri punti molto importanti in cui le proposte divergono. Si tratta del meccanismo mediante il quale ottenere un miglioramento della scuola. Ichino e Tabellini si affidano alla concorrenza. Scuole che possono diversificarsi vengono valutate, la valutazione viene portata a conoscenza degli utenti che scelgono le migliori premiandole con un numero maggiore di doti scuola. Questa proposta ha a nostro avviso molti punti deboli. Innanzitutto deve esserci una possibilità di scelta fra scuole diverse ma questa possibilità è molto limitata dalla geografia. Infatti è solo nelle grandi città che ciò è possibile per le scuole superiori. Nei piccoli paesi  non è possibile nemmeno per le scuole elementari e medie quindi la concorrenza sarebbe molto limitata nella maggioranza dei casi e in molti casi sarebbe inesistente.

Inoltre chi decide i criteri con cui valutare una scuola per dichiararla migliore di un’altra? Bisogna evitare che gli esiti di qualsiasi valutazione “ufficiale” siano il criterio esclusivo per decidere della qualità di una scuola. Un approccio più adeguato potrebbe essere quello di mettere a disposizione degli utenti una serie di dati, necessariamente non esaurienti, per lasciare poi agli utenti stessi il compito di fare una sintesi, in base anche ad altri dati, non presi in considerazione dalle valutazioni ufficiali.

Ichino e Tabellini propongono che qualunque ente non profit possa elaborare un “programma di gestione” per una scuola e sottoporlo ai genitori. Se il 50%+1 dei genitori della scuola sono d’accordo la scuola diventa autonoma e la sua gestione passa agli organi previsti dal “programma di gestione”.  In questo c’è un aspetto negativo (dopo l’approvazione iniziale il ruolo dei genitori scompare a meno che non sia prevista una qualche loro funzione dal “programma di gestione” stesso) ma anche un aspetto positivo: quello di partire con un progetto chiaro. Tuttavia questo aspetto può anche se non immediatamente essere presente anche nella nostra proposta. Nel momento in cui una legislazione adeguata renderà possibile l’autonomia è molto probabile che nascano delle agenzie in grado di elaborare progetti educativo – didattici. Chi si candida ad un posto nel CDA di una scuola autonoma è probabile che presenti un progetto e, in ogni caso, nel giro di pochi anni il CDA elaborerà assieme al Preside e al Direttore Amministrativo un progetto che risponderà al meglio alle esigenze della sua comunità scolastica.

Ultimo importantissimo punto che è necessario toccare è quello del valor legale del titolo di studio. E’ chiaro che finché ci sarà il valore legale del titolo di studio per molti la tentazione di impadronirsi del “pezzo di carta” al minor prezzo possibile in termini di capacità e di lavoro sarà irresistibile. Bisogna che l’unico esito che ci si possa aspettare da una scuola sia un buona educazione umana degli studenti e una buona preparazione culturale e professionale (per le scuole superiori tecniche) spendibili per l’accesso agli studi superiori o nel mercato del lavoro, quindi il valore legale del titolo di studio va abolito.

Ultime due osservazioni:

La prima osservazione riguarda il carattere “sperimentale” della proposta. Non crediamo che una scuola autonoma possa fare peggio di una scuola statale. Non bisognerebbe quindi  prevedere la possibilità di un rientro nel sistema statale salvo casi assolutamente eccezionali, come quello di una Accademy inglese, in cui i gestori hanno imposto una islamizzazione irrispettosa delle minoranze e delle alunne e insegnanti femmine. La possibilità di rientro nel sistema statale prolungherebbe all’infinito in dibattito fra i pro e i contro l’autonomia invece di convogliare il dibattito sul tipo di scuola che si desidera.

La seconda osservazione riguarda la laicità richiesta ad una scuola per poter far parte del sistema di scuole autonome e perciò finanziate dallo stato attraverso le doti scuola. A questo proposito occorre notare che lo Stato, attraverso le tasse sequestra parte dei beni dei cittadini. I proventi delle tasse non sono quindi suoi, lo Stato non produce nulla, a meno che non diventi imprenditore. Lo Stato amministra i soldi dei cittadini per garantire fra di loro una certa uguaglianza e fornire loro una serie di servizi, quelli che la comunità nazionale ritiene utili. Lo Stato perciò restituisce ai cittadini in forma di servizi quello che i cittadini gli hanno conferito pagando le tasse. I servizi perciò devono essere quelli più utili e graditi ai cittadini che ne usufruiscono, fatte salve le esigenze di carattere generale della comunità nazionale. A proposito della laicità, questo comporta il fatto che nessuno venga discriminato in base alla sua appartenenza (o non appartenenza) religiosa ma anche che, nel rispetto di tutti, anche in campo scolastico vengano assicurati quegli apporti al lavoro educativo che le religioni sono in grado di fornire. Si dunque alla laicità, purché la si affermi in senso positivo. In caso contrario lo stato “sequestrerebbe” i beni dei cittadini per fornire loro i servizi che la maggioranza di turno, spesso incompetente e distratta (quando non ideologica), decide.

La terza osservazione riguarda la maggioranza richiesta per diventare scuola autonoma. Il 50%+1 degli aventi diritto pare troppo alto dato il disinteresse nei confronti della scuola mostrato dalla maggioranza dei genitori come dimostrano le percentuali bassissime di votanti alle elezioni degli organi collegiali.

Per un approfondimento della nostra proposta rimandiamo all’articolo: Come una scuola diventa autonoma

Redazione
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