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Adolescenti, psicopatologie in aumento

L’esperto: “Stanno crescendo da soli”

Daniele Biondo, dell’Arpad (Associazione romana per la psicoterapia dell’adolescenza), al convegno organizzato a Torino spiega: “Le relazioni affettive profonde sono le grandi assenti nella società. Gli adolescenti, più che emanciparsi, si scindono dagli adulti”. Diffusi dati preoccupanti: solo in Piemonte, il 7 per cento degli adolescenti soffre di forme psicopatologiche.

Commento: E’ una documentazione impressionante dell’emergenza dovuta all’inadeguatezza degli adulti cui tocca il compito educativo: genitori e insegnanti. Abbiamo elaborato una proposta che responsabilizzerebbe e aiuterebbe genitori e insegnanti a essere educatori.

TORINO – Disagio diffuso, psicopatologie in aumento, boom di ricoveri. Sono dati importanti quelli diffusi ieri dal reparto di Neuropsichiatria infantile del Regina Margherita di Torino; dati che raccontano di un malessere quasi epidemico, che starebbe colpendo il 7 per cento degli adolescenti piemontesi, una percentuale che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, potrebbe presto salire fini al 12. L’occasione è stata un convegno indetto dagli stessi responsabili del reparto, per il rilancio del progetto “Un ponte tra l’ospedale e il territorio”, creato insieme agli operatori di Casa Oz per offrire “uno spazio protetto per il reinserimento nella vita ordinaria” ai ragazzi in fase di dimissione dopo un ricovero.

E sono proprio le cifre sui ricoveri a dare la misura di quanto il disagio psichico sia ormai pervasivo tra i giovani: da gennaio del 2013 a oggi, nel solo reparto del Regina sono transitati più di 90 ragazzi tra i 12 e i 15 anni, tutti ricoverati in urgenza in seguito a crolli nervosi, tentativi di suicidio o episodi di autolesionismo. La media è di 60 ricoveri l’anno, ma nei soli primi tre mesi del 2014 l’asticella ha già sfondato la soglia dei 30 interventi. Va ricordato, inoltre, “che oltre la metà di questi ragazzi finisce per rimanere in reparto per periodi prolungati, che vanno dai 3 mesi in su”, come spiega la neuropsichiatra Antonella Annichini: di qui, “l’esigenza di creare un programma che faccia da collegamento tra il percorso in ospedale, la scuola e la realtà esterna”. Secondo la dottoressa “a preoccupare è soprattutto la crescita dei tentativi di suicidio, che nel nostro Pronto soccorso arrivano fino a due casi a settimana”.

Viene dunque da chiedersi cosa possa aver innescato questo proliferare di malessere patologico tra i nostri adolescenti. Alcune risposte prova a darle Danele Biondo, psicanalista e didatta dell’Associazione romana per la Psicoterapia dell’adolescenza (Arpad); che individua la causa principale “in una forma generalizzata di imbarbarimento sociale, caratterizzata soprattutto dalla frattura generazionale e dalla maleducazione diffusa, intesa soprattutto come incapacità di convivenza, di solidarietà, di legalità”. Sono gli adulti, per Biondo, a mancare in questo quadro. “La relazione affettiva profonda – spiega lo psicanalista – è il grande assente della società ipermoderna. I ragazzi, in preda a un malessere che definirei ‘dolore generazionale’, si sono come rassegnati a fare a meno degli adulti e della stessa adultità come modello di riferimento, per rivolgersi esclusivamente ai coetanei come unici rappresentati della comunità sociale. La cosiddetta ‘net-generation’ è la prima in assoluto alla quale viene chiesto di crescersi da sola”.

Per Biondo, ci troviamo di fronte a un paradosso per cui, mentre “il prolungamento della fase dell’adolescenza sembra produrre un’adolescentizzazione della società” proprio agli adolescenti, immersi in una realtà virtuale “che più che formare, informa”, è negato il percorso stesso che dovrebbe portarli a formare il proprio sé. “Uno dei motivi più frequenti di questo fallimento – spiega lo psicoterapeuta – è l’impossibilità di accedere all’esperienza dell’altro, l’assenza di quell’esperienza vivificante che è costituita dal gruppo dei pari. In questo senso, i social network non sono da considerare nemmeno come un surrogato di quel piccolo gruppo affettivo con il quale condividere la fatica di crescere”. Così, soprattutto quando il “processo di soggettivazione è ostacolato da traumi, abbandoni o deprivazioni infantili, è molto più facile che il ragazzo si isoli o rimanga imbrigliato “in quella forma di socialità primitiva costituita dall’appartenenza al branco”. Secondo Biondo, al normale processo di emancipazione degli adolescenti, “che a un certo punto si staccano dalla mano del genitore per andare per la propria strada”, se ne sostituisce sempre più spesso uno di scissione, ovvero un distacco brusco, violento.  E’ in questo modo che nascono quelle che lo psicanalista chiama “patologie civili”: “parafrasando Freud – spiega – mentre un tempo il disagio della civiltà produceva nevrosi, oggi siamo di fronte a un disagio dell’inciviltà, che produce patologie narcisistiche”.

“A dodici anni – prosegue – le adolescenti fanno le cubiste e trescano (ovvero hanno rapporti sessuali senza alcun coinvolgimento emotivo) abitualmente coi “gestori” delle discoteche; i quali sono adolescenti solo un po’ più grandi, d’età compresa tra i 16 e i 18 anni. In questo clima, le violenze sessuali sugli adolescenti, maschi o femmine, a partire dagli adescamenti in rete, sono aumentati del 20 per cento negli ultimi due anni. Contemporaneamente, in Italia crescono sempre più le gravidanze in età adolescenziale, che oggi si attestano tra le 10 e le 11mila l’anno”.

Ma, dal momento che il nocciolo del problema sta nella “liquefazione della società”, che nega ai ragazzi i legami affettivi e il rapporto con figure di riferimento, viene da chiedersi se esita una via d’uscita da questo stato di cose. Secondo Antonella Annichini, anche questa responsabilità ricade sugli adulti: “gli adolescenti – spiega – con i loro atteggiamenti ci chiedono dei limiti. Esplorano la realtà in cerca di confini; e spesso le figure di riferimento, genitori come insegnanti, non si rendono conto che l’assenza di questi limiti può portare i giovani a ripiegarsi su se stessi”. Il disconoscimento del ruolo dell’adulto, infatti, a differenza della tipica ‘ribellione’ adolescenziale, è per i ragazzi “un’esperienza dolorosa”. E Annichini come Biondo sono d’accordo nel dire che “il ruolo degli operatori è proprio quello di offrir loro un ‘sito’ per imparare a riconoscere, a contenere e ad esprimere questo dolore”. Per questo, secondo Biondo “di fronte al disagio della società liquida, bisogna offrire ai ragazzi una risposta solidificante. E’ il momento di superare l’egemonia dell’approccio psicologico, che relativizza ogni cosa; per integrarlo con uno di tipo educativo, che sia in grado di restituire delle certezze a questi ragazzi” (ams)

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Da: Redattore Sociale del 5 aprile 2014

 

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