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Il preside manager non serve, senza l’autonomia democratica

Il direttore Skinner, personaggio della serie I Simpsons

Il direttore Skinner, personaggio della serie I Simpsons

Finalmente si incomincia a parlare di qualcosa di veramente importante per la scuola statale: la funzione del preside o, per dirla con il linguaggio attuale, del dirigente scolastico.

Il dibattito è partito perché il Governo propone di attribuire al dirigente scolastico la facoltà di scegliere gli insegnanti per la scuola che dirige, da un albo di idonei, in cui compaiano anche i loro curriculum e di valutare la qualità del loro lavoro.

L’operazione si svolge in un ambiente molto inquinato. Il mondo della scuola, dal punto di vista normativo, è un guazzabuglio che deriva dalla sovrapposizione scoordinata di tentativi di riformare un’istituzione di impianto rigidamente statalista, che non è molto cambiata dall’epoca del conte Casati (1860) e del filosofo Gentile (1923). È il governo, tramite il ministro competente e la burocrazia del suo ministero, che gestisce il sistema scolastico statale. Dopo centocinquant’anni di gestione statale la mentalità dominante riguardo alla scuola è, comprensibilmente, “statalista”: tutto si svolge all’interno della “macchina ministeriale”, si tratta solo di ridistribuire compiti e funzioni fra i vari componenti della macchina.

Da qualche anno è diventata popolare fra gli addetti ai lavori l’espressione “autonomia scolastica”. All’autonomia delle scuole è favorevole la maggior parte degli esperti, non però la scuola militante. La maggior parte degli insegnanti e del personale della scuola, quasi tutte le loro associazioni e i loro sindacati è contraria. Anche fra chi è favorevole le idee non sono molto chiare, soprattutto su chi debba di fatto, governare le scuole autonome.

Per affrontare con successo i problemi della scuola, come parte decisiva dell’affronto dell’emergenza educativa, più che un approccio riformista occorre una vera rivoluzione: si tratta di smantellare completamente l’impianto statalista di Casati e Gentile, debitore alle situazioni storiche e politiche in cui è stato concepito, incompatibili con le attuali esigenze di efficienza e di democrazia.

Oggi c’è bisogno di una scuola che serva le esigenze della comunità nazionale e quelle dei genitori. Una scuola efficace ed efficiente e perciò sufficientemente flessibile per potersi adattare a situazioni e bisogni che sono evidentemente diversi da persona a persona, da luogo a luogo e da un anno all’altro. Una tale scuola non può che essere autonoma e responsabile.

Autonoma, deve cioè poter disporre direttamente di tutto ciò che le serve per poter svolgere il suo compito: edifici, attrezzature e personale (dirigente, insegnante, tecnico, amministrativo ed ausiliario).

Responsabile:

  • Nei confronti della comunità nazionale, che mette a disposizione le risorse economiche che le servono (prendendole dalla fiscalità generale) e che ha esigenze proprie. La Costituzione riconosce, infatti, allo Stato il compito di: “dettare le norme generali sull’istruzione” (art. 33).
  • Nei confronti dei genitori che sono titolari del “diritto e dovere di mantenere, educare ed istruire i figli” (art. 30).

Come tutto questo può avvenire?

Lo Stato dovrebbe decidersi ad emanare queste “norme generali” e a organizzare un efficace corpo ispettivo che controlli le scuole in modo che esse siano rispettate, così come richiesto in un’intervista da Patrizia Prestipino, esponente del PD.

E i genitori? Esistono in Italia molte scuole paritarie gestite da Consigli di Amministrazione in cui siedono ingegneri, filosofi, avvocati, professori universitari, ecc. Perché le scuole statali autonome non potrebbero essere governate da un Consiglio di Amministrazione composto da persone della società civile elette periodicamente dai genitori degli studenti? In questo modo il preside sindaco risponderebbe del proprio operato da una parte allo Stato, attraverso gli ispettori, dall’altro ai genitori, attraverso il Consiglio di Amministrazione.

Naturalmente bisogna liberarsi di un altro orpello tipico della scuola statalista: il valore legale del titolo di studio, che tende a trasformare la scuola in una fabbrica di diplomi (di pezzi di carta) da ottenere col minimo sforzo.

Una volta abolito il valore legale del titolo di studio ogni scuola varrà e verrà giudicata per le sue capacità educative e didattiche e tutti gli operatori scolastici saranno responsabilizzati senza bisogno di meccanismi artificiosi.

 

Redazione
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