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Ecco un nuovo ministro. E allora?

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Fra pochi giorni avremo un nuovo governo e quindi un nuovo ministro per la scuola. L’ultimo è rimasto in carica nove mesi e mezzo, quello precedente diciassette mesi e mezzo, quello ancora prima tre anni e mezzo.

Che cosa hanno combinato? Quasi niente in realtà. Come mai alle dichiarazioni roboanti e agli innumerevoli contributi degli addetti ai lavori non segue quasi mai qualche cambiamento positivo?

Anzi, l’emergenza educativa diventa sempre più grave: bullismo, docenti demotivati che vogliono andare in pensione al più presto, procedure fallimentari di reclutamento di docenti e dirigenti, scuole insicure, ecc. ecc.

Come mai?

Perché la scuola italiana è un moloch centralistico e burocratico ingovernabile, in cui prevalgono sempre le forze conservatrici, che di quando in quando viene investita dall’uragano di qualche campagna “politically correct”, ieri la pace (con le bandiere multicolori ) oggi qualche altra buona causa di moda.

Caduto un ministro se ne fa un altro, tanto non contava niente il vecchio e, molto probabilmente non conterà niente il nuovo. Ma poi, perché dovrebbe contare? I titolari dell’educazione (e anche dell’istruzione) dei bambini e dei ragazzi, secondo la Costituzione, sono i loro genitori non lo Stato.

Gli insegnanti sono i loro preziosissimi aiutanti. E’ quindi molto importante che la domanda di aiuto dei genitori e l’offerta professionale degli insegnanti si incontrino liberamente, nell’interesse di entrambi e soprattutto degli studenti.  Proprio perché questo incontro libero oggi non avviene, gli insegnanti non sono stimati, i genitori sono spesso confusi e inadeguati e che gli studenti sono spesso soli, in balia dei propri istinti, della propria presunzione e della presa del mercato giovanile, nuovo “paese dei balocchi” .

D’altra parte, la scuola italiana è per il 95% scuola statale mentre la scuola che nasce per iniziativa della società è assolutamente marginale, in maggioranza scuola materna di origine più assistenziale che propriamente scolastica.

Che fare allora?

Innanzitutto abolire il valore legale del titolo di studio che genera l’idolatria del “pezzo di carta”, per cui si va a scuola per il voto, per la promozione e per il diploma e non per imparare, per sviluppare la propria persona, in modo da diventare membri attivi di un popolo, economicamente, culturalmente e socialmente.

Bisogna poi ridare dignità alla presenza dei genitori nella scuola, cioè il diritto di influire sul servizio scolastico, sulla sua qualità didattica ed educativa.

È per questo che abbiamo elaborato una proposta che, se accolta, renderebbe possibile la trasformazione della scuola statale in scuola statale autonoma. La scuola statale deve diventare una scuola in cui i docenti hanno la fiducia dei genitori e collaborano fra loro sotto la guida di un direttore accademico. Solo così la scuola sarà un vero servizio pubblico, cioè un’istituzione al servizio dei bisogni educativi e di istruzione degli alunni e di conseguenza dei bisogni sociali ed economici del territorio in cui è situata.

Redazione
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